L’etichetta di un prodotto alimentare, oltre a renderlo riconoscibile e identificabile, svolge un compito importantissimo, in quanto è il terreno di scambio di alcune informazioni tra l’azienda che realizza o commercializza quel prodotto e il consumatore. Attraverso questa serie di informazioni, il consumatore può rintracciare tutele sia dal punto di vista della salute sia dal punto di vista economico, perché in maniera rapida può avviare confronti con altri prodotti in commercio e comunque può aumentare il proprio bagaglio di consapevolezza e di conoscenza.
La scadenza sulle etichette
Limitiamoci, in questa occasione, a prendere in esame i termini di scadenza e conservazione, così come è prescritto dai regolamenti comunitari, integrati dalla normativa nazionale. Il termine minimo di conservazione o TMC (la scritta “da consumarsi preferibilmente entro”) rappresenta la data fino alla quale un alimento conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. La data di scadenza (“da consumarsi entro”) è la data limite oltre la quale il prodotto è considerato a rischio. Per consentire una conservazione e un’utilizzazione adeguata degli alimenti dopo l’apertura della confezione, devono anche essere indicate le condizioni di conservazione e/o il periodo di consumo.
Il 42% degli sprechi casalinghi è dovuto a cibi scaduti o andati a male. E molti alimenti vengono sprecati perché la maggior parte di noi non si fida a mangiarli in prossimità delle date di scadenza (mentre in realtà sono perfettamente commestibili) o perché la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” viene interpretata come una data di scadenza vera e propria. Però la vera sicurezza alimentare risiede innanzitutto nella cultura del consumatore: in termini concreti, nella sua capacità di comprendere. Perché se è vero, come abbiamo già accennato, che le scadenze alimentari sono stabilite dalle due diciture “scade il” e “da consumarsi preferibilmente entro” (e la prima stabilisce la data entro la quale bisogna mangiare l’alimento perché oltre diventa potenzialmente pericoloso), noi dobbiamo usare soprattutto i nostri sensi e, magari, un po’ di buon senso. Pensiamo ad esempio a un prodotto non scaduto, che potrebbe avere avuto qualche problema, magari nella catena del freddo, e dunque potrebbe comunque essere rischioso per la nostra salute. La seconda dicitura stabilisce la data entro la quale il prodotto conserva le sue caratteristiche organolettiche: per esempio un grissino potrebbe perdere fragranza. Questo vuol dire che ci sono alimenti – come la pasta, alcuni prodotti da forno, i pomodori pelati – che si possono mangiare ugualmente, anche se sono scaduti. Quindi, al di là delle pur giustissime norme in materia, dobbiamo reimparare a riconoscere gli eventuali segnali di pericolo, acquisendo il maggior numero di informazioni in materia alimentare.